Ho voglia di calze colorate, di mise sixties, cappottini gialli, castagne e cacio&pepe.
Avrei voglia di mollare il regime alimentare para-fascista e farmi ad una ad una tutte le sagre eno-gastronomiche della mia regione, smantellare l’armadio, svuotare la stanzetta delle scarpe e riempirli di nuovo e, soprattutto, più di qualunque impalpabile vestito, più di ogni inarrivabile monumentale stiletto, più dei deliziosi cannelloni di mia madre, io vorrei con tutta me stessa che la lista degli esami che mi mancano alla laurea si autodepennassero, che la pila di libri davanti a me si assottigliasse all’improvviso.
Che inizio ad avere paura: ogni volta che una persona ripone tanta fiducia nelle mie capacità io temo di tradire le aspettative e la professoressa era così entusiasta di affidarmi una tesi su cui punta molto per risvolti futuri, convinta che macinerò esami senza sforzo, che ci credo perfino io.
Ma -e questa è la cosa più sconvolgente- non vorrei mai, nemmeno per un attimo, che la tesi fosse lì finita davanti a me grazie ad un incantesimo allucinatorio: la odierò, maledirò me e quella fottuta paccotiglia fra qualche mese o un anno, ma non ora.
Adesso ho quella smania per l’avventura che inizia e, benchè sia una delle poche spostate mentali che alla mia età si esalta per la gente morta, per le guerre e per i nobili lascivi, è meraviglioso provare di nuovo tanto entusiasmo perduto.
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