Attività onirica dai risvolti antropologici: parliamone eh

 Dopo una massiccia dose di Jane Austen televisiva e qualche pagina di letteratura, sono finalmente svenuta nel cuore della notte e, perdendomi nell’esercito di cuscini e lenzuola, ho iniziato un sogno terrificante.
Entro in un negozio sul corso che è nella vita reale più  o meno un bugigattolo, mentre appena varcata la soglia si rivela un enorme atelier ingombro di tutti i vestiti e gli accessori che ho sempre desiderato: non quelli delle riviste patinate o dei migliori stilisti visionari, ma proprio quelli che ho sempre disegnato e cucito nella mia personale sartoria mentale e che non ho mai trovato. Presa da un raptus compulsivo,  procedo a bracciate di minidress, golfini impalpabili e nuvole di chiffon, trionfalmente scaricate sul bancone; alla cassa un’algida stronza culo secco ripete come un’automa -Mi spiace non può acquistare nulla qui- puntando col dito ad un cartello dietro di lei
                            " VIETATA LA VENDITA A MADEMOISELLE L’EGOCENTRIQUE * "

Sconvolta, furente come un’erinni mi precipito fuori per chiedere a Pollock di picchiarla a sangue, lui con lo sguardo vacuo e senza proferir verbo inizia a correre come un beagle impazzito, lasciandomi in mezzo al corso deserto che precipita nel buio più assoluto, mentre io in lacrime urlo -Bastardi! Almeno potevate pagare la bolletta!-
Il fatto che questo per me sia uno degli incubi peggiori, mi porta a domandarmi che razza di persona frivola e inutile sia. amen.



 
 
 
* ovviamente sul cartello c’erano il mio nome e cognome.
  ovviamente occultati a causa della mia segretissima carriera nel SISMI

 
 
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C’è del marcio in casa Mademoiselle



Sembra che abbia abbandonato il blog, ma in realtà sto cercando di autoanalizzarmi, quindi evito di foraggiare il mio ego (lo so che non ci credete, ma assecondatemi). E’ che sto faticosamente tentando di eliminare tutta l’ingiustificata rabbia sopita e i deleteri dialoghi mentali che si tramutano in risse immaginarie in cui io aggredisco verbalmente qualcuno; si sono diradati, sembro migliorare, ma devo rassegnarmi: c’è qualcosa di losco e marcio in me.
Tipo, per Natale mi hanno regalato un hd esterno (okay mi sono fatta regalare) e l’ho riempito di film lugubri, morbosi e pesanti al punto che mi rifiuto di prestarlo ad anima viva, così da risultare ancora più inesorabilmente stronza; ho sostituito gli aperitivi alcoolici con frustranti ore di ripetizioni, affinchè non si dica più che sono una ragazzina viziata e pretenziosa, declinando l’invito di Marlene a setacciare negozi  "Assolutamente no! Ho già comprato una fortuna a prezzo pieno" e poi il secondo giorno dei saldi ho dilapidato uno stipendio non mio in 45 minuti con le commesse che mi imploravano di potermi aprire un conto a vita; ho consigliato un libro a Pollock dicendogli – Ah sì prendi questo, una storia un po’ morbosetta: mi piace! – con uno sguardo da psicopatica dissociata che lui ha ricambiato con una risatina (isterica?) e poi c’è l’Affare della collana, ma ora sono troppo scossa per parlarvene, vi basta sapere che sono un mostro, ecco.
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Noli me tangere


Da una settimana io e mio padre andiamo a passeggiare lungo il lago. Un appuntamento privato fatto di solchi sulla strada e un fiume di parole che sono più che altro pacche sulla spalla: noi ne abbiamo bisogno, sembra terapeutico, ho rinunciato ad appuntamenti e lezioni per le nostre private sedute di sostegno e forse questo è il mio problema. La mia esistenza mi ha riservato una sequela di violenti colpi in faccia sì, ma ho sempre avuto affianco qualcuno che mi consolasse con salutari pacche sulla spalla ed è per questo probabilmente che trovo inaccettabile il contrario; ho delimitato il territorio del mio mondo intimo, degli affetti e delle piccole segretezze, che mi rimane impossibile lasciare entrare chi non sa o non vuole conoscerne la nomenclatura.
Dal momento in cui ho pagato a caro prezzo la strategia della difesa come miglior attacco, ho iniziato con l’esclusione e l’autoreclusione che di per sè è ancor più nociva, ma spesso è anche l’atteggiamento degli altri a determinare il nostro, solo che sono stremata dalla scannerizzazione dei miei errori e da quelle che erroneamente -lo ammetto- chiamo contingenze.
Non sono gli altri a non dovermi toccare -sarei un’ingenua anche solo a pensare che questo possa essere possibile- ma io che devo imparare a non lasciarmi scalfire.

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Nuove voglie (sì sono ancora in gravidanza isterica, più o meno)


 

Ho voglia di calze colorate, di mise sixties, cappottini gialli, castagne e cacio&pepe.
Avrei voglia di mollare il regime alimentare para-fascista e farmi ad una ad una tutte le sagre eno-gastronomiche della mia regione, smantellare l’armadio, svuotare la stanzetta delle scarpe e riempirli di nuovo e, soprattutto, più di qualunque impalpabile vestito, più di ogni inarrivabile monumentale stiletto, più dei deliziosi cannelloni di mia madre, io vorrei con tutta me stessa che la lista degli esami che mi mancano alla laurea si autodepennassero, che la pila di libri davanti a me si assottigliasse all’improvviso.
Che inizio ad avere paura: ogni volta che una persona ripone tanta fiducia nelle mie capacità io temo di tradire le aspettative e la professoressa era così entusiasta di affidarmi una tesi su cui punta molto per risvolti futuri, convinta che macinerò esami senza sforzo, che ci credo perfino io.
Ma -e questa è la cosa più sconvolgente- non vorrei mai, nemmeno per un attimo, che la tesi fosse lì finita davanti a me grazie ad un  incantesimo allucinatorio: la odierò, maledirò me e quella fottuta paccotiglia fra qualche mese o un anno, ma non ora.
Adesso ho quella smania per l’avventura che inizia e, benchè sia una delle poche spostate mentali che alla mia età si esalta per la gente morta, per le guerre e per i nobili lascivi,  è  meraviglioso provare di nuovo tanto entusiasmo perduto.
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Momenti social-saffici

DISCLAIMER: nasce tutto da qui (non c’ho un cazzo da fare, sono una ragazza fortunata)

Per te, claire

Godiamoci la vita, o Lesbia mia, e i piaceri d’amore;
a tutti i rimproveri dei vecchi, moralisti anche troppo,
non diamo il valore di una lira.
Il sole sì che tramonta e risorge;
noi, quando è tramontata la luce breve della vita,
dobbiamo dormire una sola interminabile notte.
Dammi mille baci e poi cento,
poi altri mille e poi altri cento,
e poi ininterrottamente ancora altri mille e altri cento ancora.
Infine, quando ne avremo sommate le molte migliaia,
altereremo i conti o per non tirare il bilancio
o perché qualche maligno non ci possa lanciare il malocchio,
quando sappia l’ammontare dei baci.
 
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Autoreclusioni imposte: una sosta dal fancazzismo

 

 

 

 

Qualcuno mi ha chiesto come riesca a non stancarmi del mio continuo procrastinare, come non mi stressi quel crogiolarmi in un continuo indugio; ebbene, consapevole che questo scatena il meccanismo di amore e odio che fa parte di me, ho sorriso un pò perchè mi conosco schifosamente bene. Tentenno, mi beo languidamente nel limbo, poi all’improvviso
-senza un apparente motivo- mi scatta la spinta decisionale e l’iperattività irrefrenabile: in cinque minuti svolte titaniche, programi stilati realizzati, pagine studiate e raggiunto l’obiettivo si torna sul triclinio.
Ecco sono in una fase d’irrazionale operosità che, unita alla dieta [ah tipo sti cazzi ma sono dimagrita 5 chili] crea un connubio micidiale: niente trucco, vivo in pigiama con le mani perennemente sporche d’inchiostro e i segni di matita sulla faccia (non ho idea di come ci riesca) tonnellate di gente morta da studiare e niente relazioni sociali.

Niente allarmismi: tra due settimane tornerò a non fare un cazzo, tranquilli

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Ritorni con saudade

Sono tornata da qualche giorno e devo ancora metabolizzare ogni singola pietra altomedievale, ogni sentiero soleggiato, ogni bicchiere di porto gustato alla Ribeira al tramonto, ogni caloria ingurgitata alla Pasteis de Belém e quella strana sensazione di vedermi sbucare un cavaliere templare da un chiostro.
Abbiamo macinato chilometri acciottolati mano nella mano, scalato avvallamenti rocciosi aspettando una torre all’orizzonte e tagliato il Portogallo in macchina fumando sigari e dando i nomi alle cose.

Ho apprezzato tutto di questi dieci giorni, anche le frasi inaspettate e le consapevolezze giunte tardi, al contrario di quanto si possa credere stranamente sono grata per quel discorso duro e chiarificatore, perchè mi sta aiutando a ricordarmi quello che conta, a valorizzare le poche cose a cui tengo, nonostante me.

(Per le foto considerate che oggi sono riuscita a postare quelle di Budapest dopo due mesi e sì, sempre qui)

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Partenze senza saudade

Sono circondata da appunti e cartine e sommersa da T-shirt improbabili, un armamentario di roba manco stessi andando ad esplorare la Patagonia.
Invece ho un aereo per il Portogallo domani: dopo tre giorni a Lisbona, ci aspetta un viaggio on the road con lo zaino in spalla(shiccosissimo tralatro), Pollock a fare le sue foto ed io a catturare immagini imprigionandole nelle parole.

Nascosti in un angolino -tra i bermuda e le sneackers- ho incastrato due vestiti tipicamente da me per non dimenticarmi chi sono, che è probabilmente un vezzo ed un gesto inutile, visto che non riesco a scordarmelo nemmeno per cinque minuti, nè per la pace, nè per la gloria, neanche per amore.
On air: Josè Saramago, Viaggio in Portogallo
                   Otis Redding, Sitting on the dock of the bay


 
Ci si vede cugini, non mi incasinate il blob
(male che va mettetece ‘na pezza!)

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Un quarto di secolo

Ho venticinque anni questa mattina.
La scorsa notte l’ho trascorsa nel solito posto speciale -la panchina sul lago-  a scartare un regalo fantastico mentre Pollock scattava millemila foto alle mie facce buffe, dopo aver letto il biglietto d’auguri stortignaccolo di una cinquenne.
Ed in quel momento non mi sono sentita semplicemente felice, allegra o soddisfatta, ma amata. Amata da un uomo meraviglioso che accetta ogni mia piccola nota infantile e la trasmuta in una preziosa peculiarità, da una bambina di cinque anni che disegna farfalle per me e dai miei genitori che mi regalano viaggi con lo stesso entusiasmo con cui mi compravano le bambole.
E non ho pensato, nemmeno per un istante, a quello che non ho, alla mia fottuta procrastinabilità, al dolore che ho provato e alle cose che ho perso: ho il mio quarto di secolo e fa davvero la sua porca figura!

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Il lavoro non mi nobilita: sono già titolata

Mi lamentavo giusto stanotte della mia inconcludenza, della sublime arte del procrastinare di cui sono sovrana, quando una telefonata mi informa che ho un briefing la prossima settimana ed inizierò a lavorare precisamente il 20 agosto, giorno della nobile ricorrenza del mio quarto di secolo. E sono tre ore che sono ficcata nella stanzetta delle scarpe a cercarne un paio sguarnite di tacchi che mi consentano di stare otto ore in piedi.
Devo imparare a farmi i cazzi mie e smetterla di parlare da sola: qualcuno potrebbe sempre sentirmi!


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