Quasi fosse tregua, come fosse prima

E invece sono diventata grande, così all’improvviso, il 2 settembre in una notte sola.
A volte, penso di averla riportata in vita con la forza della disperazione, con la volontà granitica che mi ha tenuta in piedi per settimane, aggrappata a quel groviglio di tubi che non c’entravano un cazzo con la mia vita, tanto mi sento esausta, sfilacciata ed usurata.
Ho varcato la porta della mia sicura ed inespugnabile casa,  con i bagagli dell’ennesimo viaggio ed ero io: la giovane, sfrontata, viziata e bellissima ragazzina felice, con la testa piena di libri e feste alcoliche; poche ore dopo la porta blindata di un corridoio asettico mi separava da tutto quello in cui abbia mai creduto, dalla presenza monumentale della mia sconclusionata e scintillante esistenza e non sono stata più io. In un barlume di autocoscienza, nel momento più doloroso, sono stata grottescamente fedele a me stessa e ripetevo soltanto “Se muore, non sarò mai più felice” come se la mia felicità fosse più importante della sua vita.
Abbiamo lottato insieme, ho raccolto i pezzi di questa variegata e e scalcinata famiglia che lei ha creato dal nulla e ha tenuto in piedi contro tutti e me la sono caricata sulle spalle: mente fredda, movimenti composti, nessuna lacrima e nessun dolore, ché sotto pressione spesso si da il meglio di noi stessi. 
Dicono che devo parlare, che aver affrontato tutto questo comporta un trauma, ma l’unico motivo per cui lo sto facendo è solo per capacitarmi che è accaduto davvero: “Se non lo scrivo, non è reale” il solito vecchio ritornello di Mademoiselle che, nel suo inconscio, cesella una realtà altra in cui il dolore non esiste.
Non posso permettermelo, ha ancora bisogno di me: sono una macchina da guerra, ma non so smaltire le macerie.

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